Lo sappiamo la transizione all’elettrico non è una scelta: per l’Unione Europea è un obbligo regolamentato. Dal 2035, tutti i veicoli nuovi venduti dovranno essere a zero emissioni. Un obiettivo che, almeno sulla carta, segna un cambio di paradigma nel settore automotive. Ma sotto la superficie si nasconde un paradosso profondo e poco discusso: l’Europa vuole elettrificare tutto, ma non possiede le risorse per farlo.
Fra queste, le terre rare sono le più critiche. Elementi indispensabili per produrre motori, magneti permanenti e batterie, presenti in ogni auto elettrica, ma quasi completamente assenti dal sottosuolo della EU. A oggi, oltre il 70% dell’estrazione globale è controllato dalla Cina, così come l’85% della raffinazione e il 90% della produzione di leghe. E da qui, i serrati negoziati tra USA e Cina, che potrebbero mettere definitivamente nell’angolo l’Europa.
L’allarme delle case automobilistiche: non ci sono terre rare
“Le case automobilistiche sono prese dal panico e disposte a pagare qualsiasi prezzo”. Non è una dichiarazione generica, ma l’allarme lanciato alla Reuters da Frank Eckard, CEO di Magnosphere, una delle poche aziende tedesche che produce magneti. Secondo Eckard, la situazione è esplosiva: Pechino ha cominciato a limitare le esportazioni e i fornitori europei si ritrovano a dover competere con il mondo intero per quantità sempre più scarse.
Il paragone con la crisi dei semiconduttori è inevitabile. Nel 2021, la carenza di semiconduttori bloccò centinaia migliaia di veicoli nei piazzali degli stabilimenti. Oggi, lo stesso rischio si ripresenta con le terre rare: alcune aziende hanno già iniziato a costruire auto senza componenti chiave, sperando di poterli installare successivamente. Un déjà vu industriale che lascia poco spazio all’ottimismo.
I nodi vengono al pettine
La parte più controversa di questa situazione è che Bruxelles sapeva tutto questo prima di imporre il passaggio all’elettrico. I rapporti della Commissione Europea parlano chiaro: la Cina ha in mano anche il 50% della fornitura globale di 19 materie prime fondamentali, fra cui manganese, grafite e alluminio. Eppure, le decisioni politiche sono arrivate prima della costruzione di una rete industriale autonoma.
Il nuovo Regolamento 2024/1252 sulle materie prime critiche, approvato quest’anno, rappresenta un tentativo di correre ai ripari. Ma come osserva Noah Barkin, analista del Rhodium Group, “la UE si è mossa troppo tardi”. E soprattutto, le alternative attuali non riescono a competere con la Cina né per volumi, né per costi.
Il risultato è un mercato squilibrato. La Cina, forte della sua posizione dominante, sta rallentando deliberatamente le esportazioni di magneti e materiali critici. Secondo recenti dati, solo un quarto delle richieste di esportazione verso l’Europa viene approvato. E molte aziende, nel frattempo, sono costrette a fermarsi.
Le imprese europee non riescono a tenere il passo. In assenza di scorte strategiche, si ritrovano ad affrontare un mercato in tensione, in cui i prezzi aumentano e le forniture diminuiscono. E il futuro appare sempre più catastrofico, ora che abbiamo deliberatamente messo la testa in un cappio preparato da altri.
Una transizione scritta dall’esterno
Il Green Deal europeo, nella sua ambizione, ha dimenticato un principio elementare dell’industria: non si può produrre senza materie prime. Oggi l’auto elettrica rischia di diventare un prodotto dipendente da decisioni prese a migliaia di chilometri di distanza, mentre l’industria europea osserva, impotente, un processo su cui ha sempre meno controllo.
La politica ha scelto la direzione, con la presunzione di non ascoltare chi, come Luca de Meo, lancia appelli per riprogettare in chiave europea il sistema. Perchè chi deve produrre, assemblare e vendere si trova ad affrontare una realtà in cui le regole non le detta più Bruxelles, ma Pechino. E questo è il vero problema di fondo.