Centrale nucleare con torri di raffreddamento e camino industriale riflessi nell’acqua al tramonto, cielo colorato e luci accese

Il Giappone torna al nucleare: nuova strategia energetica per il 2040. Una svolta dopo Fukushima.

A 14 anni da Fukushima, il Giappone riattiva i vecchi impianti e prepara una nuova generazione di reattori per garantire energia pulita e stabile.

Sono passati quattordici anni dall’incidente di Fukushima, e il Giappone torna a investire sul nucleare. Il cambiamento di rotta, già annunciato nei piani energetici aggiornati nel 2024, è ora visibile nei fatti: quattordici reattori hanno ripreso a funzionare, e altri sono destinati a riaprirsi nei prossimi anni. L’obiettivo del governo è ambizioso e netto: riportare l’energia nucleare a rappresentare almeno il venti per cento del mix elettrico nazionale entro il 2040.

Secondo il Financial Times, a motivare questa scelta non c’è solo l’urgenza climatica, ma anche ragioni economiche e strategiche. Il caro-gas, acuito dalla guerra in Ucraina, ha colpito duramente un paese fortemente dipendente dalle importazioni di combustibili fossili.

Allo stesso tempo, la crescita improvvisa della domanda elettrica da parte dei data center legati all’intelligenza artificiale, così come le previsioni di un maggiore utilizzo di auto elettriche, ha smentito le aspettative di una riduzione dei consumi dovuta al calo demografico.

Nuove tecnologie per un nuovo corso

Nel febbraio 2025, il Giappone ha ufficialmente eliminato la politica di riduzione progressiva dell’uso del nucleare, adottata dopo il disastro del 2011. Il piano energetico aggiornato prevede di massimizzare le fonti decarbonizzate, incluse le rinnovabili e l’atomo.

La quota nucleare, già risalita all’8,5 per cento, dovrebbe raddoppiare entro il 2040. Il percorso prevede l’introduzione di reattori più sicuri e di nuova concezione, tra cui spiccano i reattori ad alta temperatura raffreddati a gas, che potrebbero entrare in funzione nei prossimi dieci anni. A seguire sono previsti i reattori avanzati ad acqua leggera, poi i small modular reactors (SMR), quindi quelli a neutroni veloci e infine la fusione nucleare.

Se sul fronte politico il sostegno è crescente, sul piano sociale permangono resistenze. A Kashiwazaki-Kariwa, sede del più grande impianto atomico al mondo, la riattivazione è bloccata dall’opposizione del governatore.

Anche la Federazione degli Ordini Forensi giapponesi ha espresso critiche, sostenendo che la decarbonizzazione debba basarsi esclusivamente su energie rinnovabili e denunciando una sottovalutazione degli effetti ancora in corso di Fukushima.

Le aziende giapponesi guardano all’estero

In un contesto interno ancora prudente, molte aziende giapponesi stanno investendo in progetti nucleari all’estero. Il caso più emblematico è quello di NuScale, startup americana sostenuta da utility come Chubu Electric e gruppi industriali come IHI, che sperano di portare le tecnologie sviluppate negli Stati Uniti anche in Giappone. In Canada, la joint venture GE Vernova Hitachi ha ottenuto il via libera per costruire un SMR che dovrebbe entrare in funzione nel 2030.

Secondo Hitachi Energy, gli SMR rappresentano la soluzione del futuro perché si costruiscono più velocemente, costano meno e riducono il rischio di incidenti gravi.

Tra timori e opportunità

La transizione del Giappone verso un nucleare di nuova generazione richiede tempo, investimenti e un cambio di percezione pubblica. È un equilibrio delicato tra la necessità di garantire energia pulita e continua e il dovere di riconoscere le ferite ancora aperte lasciate dal passato. Ma la direzione è ormai tracciata: il Giappone ha deciso di riaccendere i suoi reattori, con la promessa di un futuro più sicuro e sostenibile. E l’Italia, un tempo pioniere del settore, rimane a guardare.

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