Si chiude con quattro condanne per frode il processo tedesco legato allo scandalo Dieselgate, esploso nel 2015. Un tribunale regionale ha emesso lunedì la sentenza nei confronti di quattro ex dirigenti Volkswagen: per due di loro è scattata la detenzione, mentre gli altri hanno ricevuto pene sospese.
Il procedimento, uno dei più complessi nella storia recente della giustizia tedesca in ambito industriale, si è protratto per quasi quattro anni.
Il cuore dello scandalo
Il Dieselgate è emerso a settembre 2015, quando l’agenzia ambientale statunitense (EPA) scoprì che numerosi veicoli diesel del gruppo tedesco montavano “defeat devices”, software in grado di manipolare i test sulle emissioni.
In fase di collaudo, i motori riducevano temporaneamente le emissioni per rientrare nei limiti di legge. Nella guida reale, però, i livelli di inquinanti superavano di gran lunga i limiti imposti. La vicenda ha scatenato un’ondata di cause e multe in tutto il mondo, costando alla casa automobilistica tedesca oltre 30 miliardi di euro.
Dirigenti coinvolti
L’ex CEO Martin Winterkorn, inizialmente incluso tra gli imputati, è stato escluso per motivi di salute prima dell’apertura del processo nel 2021. Winterkorn ha continuato a negare ogni responsabilità, pur comparendo come testimone e co-imputato in altri procedimenti.
Nel 2019, la procura tedesca aveva anche accusato di manipolazione del mercato l’allora CEO Herbert Diess e il presidente del consiglio di sorveglianza Hans Dieter Pötsch. Le accuse sono state archiviate nel 2020, quando Volkswagen ha accettato di pagare una multa di 9 milioni di euro.
Con questa sentenza, la magistratura tedesca chiude uno dei capitoli centrali del caso Dieselgate, stabilendo che le manipolazioni erano conosciute e decise dai vertici dell’azienda. Le motivazioni complete della sentenza saranno rese pubbliche nelle prossime settimane.