Ne parliamo da anni, ma ormai il conto alla rovescia pare sia iniziato. Northvolt, startup svedese che ambiva a diventare un punto di riferimento europeo nel settore delle batterie per veicoli elettrici, potrebbe chiudere i battenti entro giugno 2025. La causa è un debito da 10 miliardi di euro, mai rientrato nonostante ingenti fondi pubblici e privati.
L’unico sito ancora attivo, quello di Skelleftea, produce celle destinate ai camion elettrici Scania, ma le attività sono ormai ridotte all’essenziale. Il rischio di un blocco totale è concreto, e la comunicazione interna dello scorso 22 maggio, trasmessa in streaming ai 900 dipendenti, non lascia spazio a dubbi: senza un acquirente, la produzione si fermerà.
Il curatore fallimentare, nominato dal tribunale svedese a marzo, è incaricato di vendere beni e attività. Ma finora, nessuno ha formalizzato offerte concrete.
Il fallimento di Northvolt non colpirebbe solo l’azienda. L’intero ecosistema industriale costruito attorno allo stabilimento – grazie anche a un investimento da 10 milioni di euro da parte del Comune di Skelleftea – rischia di crollare, con conseguenze pesantissime sull’economia locale.
Una trattativa in corso con CATL
Un possibile salvataggio potrebbe arrivare dalla Cina. CATL, il colosso mondiale delle batterie, ha confermato di essere in contatto con i creditori per valutare un intervento. Il presidente Robin Zeng ha dichiarato l’interesse pubblico, precisando però che si tratta di una trattativa complessa, ancora lontana da una conclusione.
Una crisi figlia di ritardi e mercato in flessione
La parabola discendente di Northvolt è il risultato di una domanda in calo di veicoli elettrici, che ha rallentato la corsa globale agli accumulatori, e di ritardi produttivi che hanno incrinato la fiducia di clienti e investitori.
L’azienda, che si era proposta come alternativa europea alla supremazia asiatica, rischia ora di naufragare proprio nel momento in cui l’industria della transizione energetica richiede continuità, solidità e visione.