La cinese CATL, tra i maggiori produttori mondiali di batterie per auto elettriche, ha annunciato l’avvio di una gigafactory a Figueruelas, in provincia di Saragozza, accanto agli impianti Stellantis. Il progetto, dal valore stimato di 4,1 miliardi di euro, prevede la produzione su larga scala di celle per auto elettriche, con l’obiettivo di rafforzare la transizione energetica in Europa.
La novità più discussa riguarda la presenza di 2.000 operai cinesi, che saranno impiegati nella costruzione e nell’installazione dell’impiantistica della fabbrica, come racconta ECD. Una condizione imposta da Pechino che è quasi un diktat nei rapporti tra investimenti industriali stranieri e controllo locale.
La scelta di impiegare manodopera cinese non è nuova per l’azienda, che ha già replicato lo stesso schema in Africa, Germania e Ungheria. CATL intende così preservare la propria competenza tecnica, evitando la cessione di know-how strategico nella fase più delicata: l’assemblaggio degli impianti.
Questa mossa rientra nella strategia globale del governo cinese, che punta a rafforzare la dipendenza tecnologica internazionale dalla propria filiera produttiva, pur evitando la dispersione della proprietà intellettuale.
Preoccupazioni politiche e sindacali
L’annuncio ha suscitato reazioni contrastanti. Se da un lato il governo spagnolo e quello regionale aragonese, così come i vertici di Stellantis, hanno accolto positivamente l’investimento, sindacati come UGT hanno espresso dubbi sull’effettiva ricaduta occupazionale e sulla mancanza di garanzie circa la trasferibilità tecnologica.
Il partito Vox ha parlato apertamente di “perdita di sovranità”, mentre il governo centrale difende l’accordo come parte di una strategia per attrarre capitali internazionali e mantenere competitiva l’industria automobilistica del Paese.
Quale sarà il ruolo degli operai spagnoli?
CATL ha dichiarato che l’obiettivo è formare personale locale per la gestione della fabbrica a partire dal 2026. Ma nel frattempo, i primi due anni saranno gestiti in larga parte da tecnici e operai cinesi. Sono in fase di individuazione aree residenziali adiacenti allo stabilimento per ospitare temporaneamente il personale straniero, un aspetto che sta creando tensione tra le autorità locali per la scarsa trasparenza sull’intero processo.
L’industria dell’auto, che dà lavoro a oltre 35.000 persone in Aragona, vede nella gigafactory una possibile ancora di salvezza per restare rilevante nell’epoca dell’elettrificazione. Tuttavia, il rischio percepito è quello di dipendere da un modello industriale esterno, dove la tecnologia non si radica realmente nel tessuto locale.
Complimenti alla UE che ha finanziato il progetto
La questione si inserisce in un contesto europeo delicato. A differenza dei colossi sudcoreani, che in genere impiegano fornitori locali, le imprese cinesi come CATL preferiscono importare materiali, competenze e personale, rendendo difficile la costruzione di una filiera europea autonoma.
Mentre la UE finanzia il progetto con 298 milioni di euro tramite i fondi NextGeneration, non esiste ancora un quadro regolatorio comune che imponga criteri stringenti su occupazione locale e trasferimento di tecnologia. Questo genera concorrenza tra Stati per attrarre investimenti, spesso a discapito della propria autonomia industriale.
Per la Spagna, e per l’Europa nel suo complesso, il vero nodo sarà capire se questo tipo di investimenti rafforzerà la competitività interna o se lascerà il continente prigioniero di un modello esogeno, dove la capacità produttiva esiste, ma il controllo e la conoscenza restano altrove. Una vera e propria economia d’appalto mascherata, dove il know-how viaggia su passaporto cinese e le ricadute sono solo parziali. Addio alla favola dei cinesi visti come salvatori della Patria, perchè ovviamente curano i propri interessi, non quelli degli altri.
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