La strada verso le emissioni zero intrapresa dalla Norvegia non potrebbe essere più sbagliata. Se da una parte è da plaudire la scelta di adottare le auto elettriche prima degli altri Paesi europei, dall’altra c’è da chiedersi se si tratta solo di “greenwashing”. Abbiamo visto infatti negli scorsi anni come in Norvegia l’elettrico sia sovvenzionato dalla vendita di petrolio, e di come l’eolico sia utilizzato per estrarne ancora di più.
Ma andiamo oltre, perchè negli scorsi giorni, il Paese scandinavo è diventato il primo al mondo ad aprirsi alle estrazioni commerciali di terre rare nelle profondità marine, una gigantesca area tra Mar di Norvegia e Mare del Nord che preoccupa tutti, non solo gli ambientalisti.
Questi materiali sono necessari per le cosiddette “applicazioni verdi“, tra cui anche le auto elettriche. Il problema è che sono un controsenso con la ricerca di economia circolare permessa proprio da queste auto, e le operazioni sono potenzialmente un disastro per la vita marina. Proprio per questo, l’Unione Europea e il Regno Unito non sono molto contenti.
Cosa cerca il governo norvegese?
Perché la Norvegia sembra così interessata ai fondali del “suo” mare? La profondità marina ospita alcune tipologie di rocce, di solito grandi come delle patate, note come noduli e/o croste e oggi sempre più preziose perché contengono litio, cobalto, scandio e altre terre rare molto richieste per dispositivi elettronici, o dispositivi per le cosiddette energie rinnovabili, ma anche per le batterie delle auto elettriche.
Ancora una volta, quindi, la Norvegia punta a inserirsi nell’industria automotive non in modo diretto, ma come parte della filiera, si potrebbe dire sempre per alimentarle. Prima con il petrolio, ora con le batterie: i minerali estratti dalle società, su tutte Loke Minerals, andrebbero sicuramente venduti sia a produttori esclusivi di batterie, come la vicina Northvolt in Svezia, ma anche a Geely, Stellantis e Volkswagen.
Stiamo parlando di un’area di estrazione grande 280.000 kmq, più dell’intero Regno Unito, e con il governo di Oslo che si è messo in testa di estendere la possibilità anche ad acque internazionali. Il motivo scelto è quello di non dipendere troppo da alcune aree ristrette: i minerali in questione sono disponibili anche sulla terraferma, ma concentrati in pochi paesi, molti dei quali “colonie” cinesi, come quelli africani.
Walter Sognnes, co-fondatore della compagnia mineraria norvegese Loke Minerals, che pianifica di richiedere una licenza, ha riconosciuto che è necessario fare di più per capire il mare profondo prima di iniziare l’estrazione. Ha dichiarato alla BBC: “Avremo un periodo relativamente lungo di attività di esplorazione e mappatura per colmare il divario di conoscenza sull’impatto ambientale“.
Ma gli altri non ci stanno. Martin Webeler, ricercatore presso l’Environmental Justice Foundation, ha affermato che il provvedimento è “catastrofico” per l’habitat marino, criticando Oslo per non aver tenuto conto di quanto riferito dalla comunità scientifica e suggerendo che le aziende minerarie debbano concentrarsi sulla prevenzione dei danni ambientali nelle attività attuali, e non aprire una nuova industria.
Potenzialità sprecate
La mossa è problematica anche dal punto di vista di ciò che offre la filiera dell’auto elettrica in più rispetto a quella tradizionale. Abbiamo più volte ormai appurato che le batterie e i loro materiali possano essere riciclati da accumulatori esausti, e ci sono già esempi positivi a riguardo. Non è economico, ma è più favorevole e ha un impatto ambientale molto minore.
In un mondo che cerca sempre di più l’economia circolare, la Norvegia sembra dimostrare di nuovo il suo greenwashing con una facciata apertamente “green”, che però non sembra rinunciare, di nuovo, né al petrolio o al gas di cui è ancora tra i paesi leader, né alla ricerca di nuovi profitti con etica dubbia.
Una mossa che ha “riunito” UE e Regno Unito
Non solo: il provvedimento ha fatto così discutere che l’Unione Europea e il Regno Unito si sono trovati d’accordo, entrambi in contrasto con il paese scandinavo. Hanno infatti chiesto a Oslo un divieto temporaneo di questa pratica perché preoccupati del disastro ambientale che ne potrebbe derivare.
Le tecniche per estrarre i minerali dal fondo del mare potrebbero generare significativi inquinamenti acustici e luminosi, oltre a danneggiare l’habitat degli organismi che dipendono dai noduli, secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Lo scorso novembre 2023, inoltre, 120 legislatori UE hanno scritto una lettera per chiedere al parlamento norvegese di respingere il progetto, criticando la Norvegia per ipocrisia e mancata coscienza, non ricevendo risposta.
E anche all’interno, la mossa del governo norvegese non gode di grandi favori. L‘Istituto di Ricerca Marina norvegese (IMR) ha dichiarato che il governo aveva fatto assunzioni da una piccola area di ricerca e le aveva applicate all’intera area pianificata per le perforazioni. Stima che siano necessari ulteriori cinque o dieci anni di ricerca sugli impatti sulle specie.
La replica del governo non è mancata. Innanzitutto, si è difeso dichiarando che non darà consenso immediato alle aziende, ma solo dopo proposte e valutazioni ambientali, e ogni singolo caso dovrà essere approvato dal parlamento.
La Presidente della Commissione Permanente per l’Energia e l’Ambiente Marianne Siverstsen Næss, a capo del team di analisi del piano originale, ha parlato di “approccio precauzionale alle attività minerarie” da parte del governo, aggiungendo:
Attualmente non disponiamo delle conoscenze necessarie per estrarre minerali dal fondale marino nel modo richiesto. La proposta del governo di aprire un’area per l’attività consente agli attori privati di esplorare e acquisire conoscenze e dati dalle aree in questione.
Ma non sono giustificazioni sufficienti. È risaputo che, anche nei casi delle maggiori precauzioni, sono attività che impattano enormemente su un’ecosistema, e per questo bisogna investire di più sul riciclo e il riutilizzo dei materiali già esistenti. Soprattutto perché non mancano: L’Environmental Justice Foundation stima in un rapporto che 16.000 tonnellate di cobalto all’anno, circa il 10% della produzione annuale, potrebbero essere recuperate attraverso una migliore raccolta e riciclaggio dei soli smartphone.
Facile immaginare quanto possa salire tale percentuale aggiungendo anche altri dispositivi, e le stesse auto elettriche già in commercio, e di cui la Norvegia non manca.
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