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La crisi dei semiconduttori evidenzia che la priorità sono i computer e non le auto

Contro ogni pronostico, non è il disastro economico dovuto al COVID a mettere in pericolo la salute delle case automobilistico, ma la crisi dei semiconduttori, nata dal boom della domanda verso questi prodotti e che ha provocato sul mercato una […]

Contro ogni pronostico, non è il disastro economico dovuto al COVID a mettere in pericolo la salute delle case automobilistico, ma la crisi dei semiconduttori, nata dal boom della domanda verso questi prodotti e che ha provocato sul mercato una vera e propria impossibilità di garantire queste componenti per la progettazione delle auto.

È una crisi piuttosto importante, che ha visto nel febbraio del 2021 case come Nissan e Honda annunciare gli inserzionisti che le loro entrate sarebbero diminuite, e in generale la chiusura di molti stabilimenti, mentre i governi si stanno affannando per affrontare questo problema. Eppure, nello stesso mese in cui i due colossi nipponici annunciavano una riduzione degli introiti, i PC e i devices elettronici hanno aumentato le loro vendite, con un aumento fino al 90% nel solo Regno Unito.

Molti negozi hanno visto esaurire le scorte dei computer, mentre le fabbriche relative alla produzione dei dispositivi non sono state costrette a chiudere. Una differenza che, nel contesto della crisi dei semiconduttori, non è passata inosservata.

La crisi dei semiconduttori parte dal COVID

Per capire questo scenario, bisogna risalire a febbraio 2020, quando “tutto ebbe inizio”. Il virus era già in giro ma non c’era lo stato di pandemia globale. Nessun Paese tranne la Cina aveva ancora dato inizio ai lockdown. In quel periodo, Microsoft aveva tagliato le previsioni di vendita per i suoi Surface, e anche le licenze di Windows per i produttori di PC.

Un mese dopo, il contesto era completamente cambiato: l’Europa continentale era in lockdown e la maggior parte dei Paesi aveva dato il via ad incentivi e sussidi statali per proteggere le loro economie. E’ in questo periodo che si afferma il cosiddetto “Smart Working”. Sia per motivi di lavoro e studio, sia per intrattenimento, le persone hanno avuto un maggiore bisogno di computer, ma mentre le vendite di dispositivi elettronici sono aumentate, quelle dei veicoli passeggeri sono diminuite del 14% nel 2020 (dati Canalys). È proprio il calo delle vendite delle auto, e la conseguente riduzione degli ordini di chip delle case automobilistiche, che ha fatto arrivare a una predominanza dei device elettronici nel mercato dei semiconduttori. Questo ha portato a una carenza non solo di chip, ma anche di materiali di imballaggio e substrato, cosa che non fa che ampliare la crisi dei semiconduttori.

Conseguenze indesiderate

Tra le cause della crisi dei semiconduttori ci sono anche le sanzioni commerciali statunitensi nei confronti della Cina: tali provvedimenti, infatti, hanno obbligato le aziende a comprare in anticipo le componenti di elettronica essenziale per smartphone 5G e altri prodotti di fascia alta, mentre d’altra parte le aziende americane non sono state capaci di procurarsi i chip prodotti dalle principali fabbriche cinesi, complicando la carenza di approvvigionamento.

XC40 Recharge Full Electric

Fondamentalmente, quindi, la pandemia non ha fatto che accelerare in modo esponenziale la crisi dei semiconduttori, un processo già in atto, con una domanda di semiconduttori già sulla buona strada per superare quella che effettivamente era la produzione. Di fatto, il passaggio alle economie digitali, l’emergere di tecnologie quali l’IoT (Internet of Things), Intelligenza Artificiale, Realtà Aumentata e Virtuale, e la digitalizzazione delle stesse auto, ormai più device su ruote che non oggetti meccanici (ogni auto oggi ha almeno 3.000 componenti a semiconduttore, e saranno di più nel futuro) provocano un’enorme pressione sul mercato dei semiconduttori, la cui domanda continua ad aumentare.

Tra cinque anni, secondo quanto riportato da The Register, un’auto su quattro sarà elettrica o ibrida plug-in e/o a guida autonoma, usata su percorsi chiusi e programmati come i sistemi di trasporto pubblico. Tra dieci, i sistemi semi-autonomi di livello tre saranno la norma. La previsione, quindi, è che le case automobilistiche avranno bisogno sempre di più dei semiconduttori, rimanendo incapaci di procurarseli.

Il problema dell’auto di oggi

Tutti questi problemi nascono dal fatto che oggi l’automobile come oggetto si trova in una fase di transizione complessa e non particolarmente comoda: non sono più oggetti solo meccanici, ma ancora non sono oggetti completamente elettronici. Inoltre, le pratiche di approvvigionamento del settore dei trasporti non corrispondono ai cicli di sviluppo dei fornitori. La differenza con i devices elettronici è lampante: PC e Smartphone contano molto sull’evoluzione tecnologica, preoccupandosi molto delle prestazioni che devono essere alte per competere con gli altri, mettendo in secondo piano il prezzo. Inoltre, la durata di questi prodotti è molto breve: si parla di due anni medi per uno smartphone, 3 o 4 per un computer.

Le auto sono diverse: essendo in grado di gestire e funzionare ancora con tecnologie obsolete, durano di più, mentre i produttori si preoccupano maggiormente della sicurezza dei dispositivi, e meno delle loro prestazioni e della loro tecnologia. Solo Tesla, con il suo successo, ha dato una scossa al mercato, ma in generale l’automotive è in ritardo per quanto riguarda la parte tecnologica, e questo per esempio lo si nota addirittura già dai sistemi di infotainment, che nonostante gli anni che passano non sono ancora minimamente all’altezza degli OS di smartphone e PC.

Nuova BMW i4 2021

Proprio questo ha fatto sì che ora le fonderie di semiconduttori ridistribuiranno le quote ad altri acquirenti, più sicuri per loro, quando un produttore dirà di non voler preordinare il prodotto, senza lasciare scorte disponibili una volta che l’azienda automobilistica ricomincia la produzione. Di fatto, se un’azienda taglia i suoi ordini di chip all’inizio di una pandemia, come è effettivamente avvenuto, non è in grado di garantire le forniture nei mesi successivi, quando riprendono le vendite. A questo si aggiunge che i fornitori di silicio sono meno propensi a soddisfare le richieste dei produttori di auto perché ordinano e pagano meno rispetto ad altri acquirenti, come quelli legati alla pura elettronica.

La differenza, insomma, la fa il potere d’acquisto, che nemmeno le case auto hanno: si producono tra i 60 e i 70 milioni di nuove auto tutti gli anni, e non tutte con gli stessi chip. Samsung e Apple, invece, possono vendere la stessa quantità di smartphone in 90 giorni pagano molto per componenti che facciano risaltare i loro prodotti di punta, a differenza delle case auto che si affidano a kit più vecchie, che sono meno redditizie per le fonderie.

Insomma, il messaggio è chiaro: se paghi, avrai. Altrimenti, aspetti (e speri).

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