La spinta verso la transizione elettrica in Europa, guidata dal commissario europeo all’Industria Thierry Breton, si sta rivelando più problematica di quanto le istituzioni europee vogliano ammettere. L’obiettivo di eliminare le auto a benzina e diesel entro il 2035 è un traguardo che sembra sempre più lontano, se non addirittura irraggiungibile. Le dichiarazioni ufficiali, cariche di ottimismo, nascondono una realtà complessa: la crisi nel settore automobilistico europeo è ormai evidente, e non può essere mascherata da discorsi diplomatici.
Breton insiste sulla necessità di accelerare la transizione, ma i dati parlano chiaro: la domanda di auto elettriche è in calo, e la produzione interna non è in grado di competere con i prezzi molto più bassi dei veicoli cinesi. La competitività delle aziende europee si sta sgretolando, e con essa anche la fiducia dei consumatori. Tanti europei non sono convinti dai presunti vantaggi della mobilità elettrica, soprattutto di fronte a costi ancora elevati e alla scarsità di infrastrutture di ricarica.
L’Europa non è pronta, ma neanche gli altri
Breton e le istituzioni europee sembrano ignorare una questione fondamentale: l’Europa non è pronta, e magari non lo vuole neanche, questo cambiamento radicale. Il rapporto redatto da Mario Draghi, citato dal commissario, evidenzia come il fabbisogno energetico e di mezzi di trasporto verdi superi ampiamente la capacità produttiva del continente. Eppure, quella stessa relazione viene spesso utilizzata per sostenere l’illusione che l’obiettivo del 2035 sia realizzabile. In realtà, come sottolineato dallo stesso Draghi, l’unico modo per raggiungere tali traguardi è affidarsi a tecnologie cinesi, un’ammissione implicita della debolezza del sistema produttivo europeo. Eppure non ci voleva un genio per capire che sarebbe andata così.
Nelle mani dei cinesi
La dipendenza dalla Cina, un aspetto che Breton evita di affrontare nei suoi discorsi pubblici, rappresenta un enorme rischio strategico. Affidarsi a un mercato esterno, in particolare a quello di un Paese che ha dimostrato di essere un concorrente formidabile nel campo della mobilità elettrica, compromette gravemente l’autonomia dell’industria europea. Il deficit commerciale con Pechino è già preoccupante, e i dati indicano che continuerà a crescere.
Scambio batterie ignorato, colonnine insufficienti
In aggiunta, la mancanza di una rete di infrastrutture di ricarica elettrica diffusa e accessibile in tutta Europa rappresenta un ostacolo insormontabile. Breton stesso ha ammesso che la maggior parte delle stazioni di ricarica si concentra in pochi Paesi: Germania, Francia e Paesi Bassi. Questa disparità crea una spaccatura all’interno dell’Unione Europea, dove i Paesi meno sviluppati dal punto di vista delle infrastrutture rischiano di rimanere esclusi dalla transizione. Tra l’altro, l’unico modo per superare il problema, ovvero lo scambio batterie, non è mai stato preso in considerazione.
Fallimento della EU
La crisi attuale è, in parte, frutto della mancanza di una pianificazione adeguata da parte dell’Unione Europea. Le case automobilistiche europee non sono riuscite a proporre un modello di mobilità elettrica che convinca i consumatori, e le istituzioni comunitarie, anziché cercare soluzioni realistiche, continuano a imporre obiettivi ambiziosi senza considerare i limiti del sistema.
L’Europa, dunque, si trova davanti a una scelta difficile. Continuare su questa strada rischia di provocare danni irreparabili all’industria automobilistica, che già fatica a rimanere competitiva. È necessario rivedere gli obiettivi per il 2035, tenendo conto delle reali capacità produttive e infrastrutturali del continente. Solo così si potrà evitare una crisi ancora più profonda, che minaccia di colpire non solo il settore auto, ma l’intera economia europea.