L’annuncio della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, durante il Patto dei Sindaci 2025, ha dato rilievo a un fatto che in Italia stava passando quasi sotto traccia: sessanta città italiane si sono dichiarate pronte a sperimentare su strada la guida autonoma, in un’iniziativa che coinvolge direttamente istituzioni locali, università e centri di ricerca.
La notizia, ripresa anche da Wired, descrive l’Italia come un possibile modello per la sperimentazione urbana dei veicoli automatizzati in Europa. Un ruolo che il Paese si sta costruendo attraverso il progetto nazionale “Autonomous Driving: Italy in the Front Row”, coordinato per dare coerenza a un ecosistema normativo, tecnologico e urbano che consenta il passaggio dalla ricerca teorica alla validazione su strada.
L’Europa si muove: nuove regole per la guida autonoma
Questo processo non sarebbe possibile senza l’adeguamento del quadro giuridico. Da settembre, infatti, è entrato in vigore un nuovo regolamento della UNECE, la Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite, che autorizza i sistemi di assistenza alla guida a operare su autostrade europee in modalità “hands-off”, cioè con il conducente libero di staccare le mani dal volante per brevi periodi, pur restando responsabile.
Il regolamento introduce inoltre la categoria delle manovre “System-Initiated”, che riconosce ai sistemi automatizzati la possibilità di gestire in autonomia frenate, cambi di corsia e correzioni di traiettoria. Una novità normativa che, pur vincolata alla supervisione umana, consente ora sperimentazioni realistiche in ambiente stradale, non più solo in aree chiuse o simulate.
Un’occasione per l’Italia: infrastrutture pronte e consenso locale
In questo contesto normativo, l’Italia parte da una posizione di vantaggio. Secondo i dati riportati da Wired, grazie agli investimenti del PNRR e ai fondi europei del programma 5G Corridor, sarebbero già disponibili circa 500 chilometri di strade attrezzabili per i test, con infrastrutture connesse in grado di supportare comunicazioni in tempo reale tra veicolo e rete stradale.
A Torino, ad esempio, è già attiva una navetta elettrica a guida autonoma che collega il Politecnico a una zona urbana limitrofa, monitorata da remoto. Un piccolo esperimento, ma concreto, che dimostra come la guida autonoma possa essere testata in sicurezza anche in contesti cittadini complessi.
A rendere il progetto ancora più solido è la risposta compatta delle amministrazioni comunali. L’iniziativa coinvolge capoluoghi come Milano, Genova, Bologna, Firenze, Napoli. L’adesione così ampia non è solo simbolica: indica una disponibilità politica e amministrativa ad accogliere sperimentazioni che richiedono collaborazione trasversale tra enti pubblici, operatori tecnologici e cittadini.
Un confronto difficile con Cina e Stati Uniti
Sul piano globale, tuttavia, l’Europa — e con essa l’Italia — si trova ancora in una posizione di rincorsa. Negli Stati Uniti, aziende come Waymo (Alphabet) e Cruise (General Motors) gestiscono già servizi di trasporto urbano senza conducente. In Cina, Baidu ha sviluppato flotte autonome attive in città come Pechino e Shenzhen, dove le tecnologie sono testate su vasta scala, con normative più permissive.
Secondo Le Monde, Baidu sta valutando un’espansione in Europa, approfittando proprio della fase di costruzione normativa del continente. Questo rende ancora più urgente, per l’Italia e l’Unione Europea, definire standard condivisi, per evitare la frammentazione del mercato interno e attrarre investimenti globali.
Una prova di credibilità sistemica
La guida autonoma, oggi, non è più solo un tema tecnologico. È un test di capacità politica e industriale, una verifica su come un Paese possa organizzare il proprio sistema urbano e infrastrutturale per accogliere innovazione senza compromettere sicurezza e coesione sociale.
L’Italia ha mostrato di avere le risorse per provarci: competenze nel settore automotive, poli universitari di eccellenza, una rete di imprese in grado di produrre componenti chiave come sensori, semiconduttori e software.
Ma il vero passo avanti è nella costruzione di un modello condiviso, in cui città, enti regolatori e industria si muovano all’unisono.
Non si tratta di una corsa alla tecnologia, quanto piuttosto di una prova di maturità istituzionale. Perché la guida autonoma, prima ancora che essere autonoma, deve essere sostenibile, regolata, trasparente e soprattutto compresa da chi la vivrà ogni giorno nelle proprie città.
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